Federico Gorio nasce a Milano il 20 luglio 1915 da Tullio Gorio e Rosa Ghizzoni. Il padre di origini comasche, ingegnere industriale al Politecnico di Torino, durante la prima guerra mondiale quale ufficiale addetto ai servizi aeronautici della Regia Marina si era occupato di problemi inerenti alla radiotelegrafia acquistando ben presto, in tale campo, profonda e vasta competenza, e collaborando con Giuseppe Pession. Direttore dell’Istituto superiore per le poste e le telecomunicazioni, nel 1948 era stato nominato membro del Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni. Dal padre Federico eredita la propensione alla ricerca, il rigore professionale e la tenacia nel perseguire gli obiettivi prefissati. Nell’aprile del 1928, Tullio, consapevole delle doti artistiche del figlio, lo conduce da Duilio Cambellotti, artista-artigiano per eccellenza, per verificare la sua vocazione artistica. Dopo aver visto i suoi disegni Cambellotti conferma: “Ha il tratto sicuro se vorrà fare”.
Dopo gli studi classici, Gorio nel 1933 si iscrive alla Facoltà di Ingegneria civile, sezione edile. Alla formazione rigorosamente scientifica del biennio di ingegneria fanno seguito le esperienze tecnico-applicative dei primi corsi del triennio, sulle quali si sovrappone l’insegnamento storico-critico dell’architettura che gli apre la strada alla riflessione critica e alla ricerca formale. Malgrado la presenza di Gustavo Giovannoni nella facoltà, l’insegnamento del Disegno restava affidato esclusivamente a Vincenzo Fasolo, architetto di grande temperamento umano per il quale il disegno rappresentava uno strumento essenziale per lo studio della Storia dell’Architettura. Le sue lezioni si trasformavano in vere e proprie rassegne di rappresentazioni grafiche dei più diversi monumenti che Gorio assorbì nel proprio “archivio della memoria”. Ben presto nel suo percorso di apprendimento si inserisce in modo determinante l’insegnamento di Giuseppe Nicolosi che sarà un riferimento costante nell’evoluzione del suo processo formativo. Così lui stesso descrive il primo incontro con il docente e le impressioni che ne derivarono: “Quando lo incontrai sullo scorcio remoto degli anni Trenta, parve a me studente dell’ultimo anno d’aver intravisto uno spiraglio di luce nel buio. Tra gli insegnanti della facoltà di ingegneria, impettiti nelle loro certezze, fu la prima assicurazione (dopo il Pascal del liceo) che il dubbio interno poteva non essere un peccato”. Gorio è affascinato dalla personalità del maestro di cui ammira soprattutto la capacità didattica e la vocazione a dibattere intorno ai temi dell’architettura, di cui affronta tutti gli aspetti più reconditi: “Rappresentò per me un’eccezione insperata, disposto com’era alla discussione informale e alla ricerca delle soluzioni, matita alla mano con te alla pari”. Condivide con il docente la predisposizione ad esaltare l’autonomia dell’espressione individuale in contrasto con imposizioni o suggerimenti formali derivanti dalla moda di forme antiche o moderne.
Nel 1938 Gorio si laurea con un progetto urbanistico ed architettonico per la erigenda città di Pomezia. Fin da questa esperienza progettuale, condotta durante la tesi, sviluppata nell’ambito di una città di fondazione, il rapporto unitario tra progettazione urbanistica ed architettonica. Sempre più appassionato di architettura, Gorio si iscrive nel 1938 all’anno accademico integrativo del Corso di studi per il conseguimento della laurea in Architettura, superando sette esami su nove: decorazione, architettura d’interni, arredamento e decorazione, plastica ornamentale, urbanistica, caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti, storia dell’arte e stili dell’architettura. Ma ben presto è costretto ad abbandonare gli studi per lo scoppio della seconda guerra mondiale e la conseguente partenza per il fronte italiano in Africa.
Nel dicembre del 1940, caduto prigioniero degli Inglesi in Libia, ai confini con l’Egitto, viene trasferito in un campo di prigionia in India, nella regione del Bihar. Le malsane condizioni ambientali costringono però gli Inglesi a trasferire tutti i detenuti in una regione più a nord, alle pendici dell’Himalaya, in una località equidistante da Afganistan e Tibet, sul 32° parallelo, denominata “YOL” (Young officer line), nelle vicinanze di Dharmsala. In quel clima psicologico, generato dalla lunghissima detenzione durata più di sei anni (1940-1946), inizia una dolorosa esperienza personale che ha segnato inesorabilmente il suo cammino ma che non ha mai piegato il suo attivismo intellettuale e creativo, grazie al quale sarà impegnato sia nei concorsi di architettura interni al campo e sia come docente nell’insegnamento di Architettura presso il Centro di studi universitari di Yol promosso dal colonnello Carlo Rostagno.
Scriverà Ludovico Quaroni nella prefazione al libro Il mestiere di architetto, scritto da Gorio nel 1968: “Federico Gorio ha dato tutto quello che poteva, quello che era spontaneamente generato nella lunghissima prigionia sofferta, quello che era nato dalle lunghe inorganiche e troppo meditate letture, dalla forzata inattività e dall’impossibilità di qualsiasi riferimento ad una realtà che non fosse il travaglio morale del popolo italiano. Egli ci ha dato tutta la sua intelligenza, la sua cultura, il suo entusiasmo. Per chi ha potuto seguire il suo travaglio culturale sa il valore che i singoli suoi passi hanno significato per assicurare, pezzo per pezzo, la costruzione dell’attuale coscienza chiara dei giovani architetti”.
È con il rientro in Italia che l’esperienza di Gorio manifesta il suo intenso impegno sociale e civile che lo portano ad approfondire tematiche incentrate sull’architettura e l’urbanistica per la collettività e sull’edilizia economica e popolare (Tiburtino, La Martella, Spine Bianche, Torre Spagnola, Cavedone ecc). Al rientro dalla prigionia riprende i contatti iniziati da giovanissimo durante la permanenza estiva sul Lago di Como con Elena Carozzi, che sposerà il 29 marzo del 1949 e dalla cui unione nasceranno le sue due uniche figlie Raffaella (1950) e Fiorenza (1953).
Gli anni Cinquanta rappresentano per Gorio il periodo in cui inizia la libera docenza in vari corsi quali Urbanistica Esecutiva e Architettura (1957-58), Composizione Urbanistica (1958-59), Elementi di Composizione Urbanistica (1959-60), Composizione Urbanistica (1960-61). Viene nominato professore ordinario di Tecnica Urbanistica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Aquila e nel 1973 ottiene il trasferimento presso l’Università di Roma nel corso di Urbanistica dei Trasporti dove insegnerà fino alla sopraggiunta età di pensionamento. Nell’ambito dell’insegnamento di Urbanistica III, istituito a partire dall’anno accademico 1962-63, destinato agli allievi ingegneri della Sottosezione Trasporti, Federico Gorio ha svolto un ruolo fondamentale di stimolo nei confronti dell’intero Istituto, contribuendo a formare un numeroso gruppo di assistenti che con lui hanno collaborato. Nelle lezioni, largo margine era assegnato alla formazione e allo sviluppo delle città e delle loro componenti, all’influenza della cultura e della struttura economico-organizzativa della comunità come presupposto fondativo delle specifiche realtà urbane, al rapporto tra morfologia ed insediamenti.
Nel 1951 su iniziativa di Adriano Olivetti, Presidente dell’INU e Vice Presidente dell’UNRRA-Casas (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) insieme a Friedrich Georg Friedmann, sociologo tedesco e docente all’Università dell’Arkansas, viene istituita una commissione interdisciplinare per lo studio della città e dell’agro di Matera. Del gruppo di studio pluridisciplinare farà parte anche Federico Gorio insieme a Ludovico Quaroni per gli aspetti legati all’urbanistica. L’obiettivo di questa prima sistematica indagine conoscitiva su Matera è quello di creare “comunità nuove”, in cui vengano privilegiati i momenti pedagogici e di riorganizzazione umana che porteranno Gorio insieme a Quaroni e altri ad affrontare nel 1952 il nuovo tema di un villaggio rurale “La Martella”, ideato per accogliere gli abitanti dei Sassi di Matera che, per motivi igienico-sanitari, da quel sito malsano dovevano essere trasferiti portando con loro un bagaglio di storia di migliaia di anni. Grazie alla sua forte sensibilità Gorio si cala immediatamente nel tema contrassegnato da profonde problematiche umane e sociologiche, assumendo un atteggiamento di estremo rispetto del patrimonio culturale di quegli abitanti. La sua preoccupazione sarà tutta tesa a non distruggere la coerenza, la solidità interiore e le tradizioni di quella comunità contadina. Attraverso quell’intervento Gorio sviluppa una sua personale identità, caratterizzata dalla ricerca di una nuova razionalità del costruire, lontana dal razionalismo italiano degli anni precedenti e pervasa invece dall’aspirazione ad attuare le condizioni spaziali e abitative per un ritorno alla pacifica e solidale vita del borgo. Successivamente, la sua continua attenzione ai rapporti tra architettura, urbanistica e scienze sociali lo porta al risultato più noto e apprezzato, il quartiere di via Cavedone a Bologna della fine degli anni Cinquanta, dove riesce a superare ogni residuo populista, facendosi assertore di un’urbanistica e un’architettura fondate su profondi contenuti etici e sociali come anche sul rigore della tecnica.
Nell’aprile del 1959 Ludovico Quaroni presenta sulla rivista di Zevi il progetto di Gorio per il “Casale Gomez”. Quaroni, gli attribuisce valori “che oltrepassavano le consuete acquisizioni della migliore edilizia corrente di quegli anni, apprezzandone il sapiente gioco spaziale dell’organizzazione interna di loosiana memoria”, mentre Zevi a sua volta lo definisce “un dono piovuto dal cielo”, sottolineando come l’edificio sia “studiato mattone per mattone, cm per cm, strappato alla banalità di un rudere senza interesse e alla volgarità di un regolamento redatto lontano da ogni preoccupazione culturale”. Un’architettura “di tanto fascino”, ma anche “di tanta sostanza”.
Nel campo della ricerca edilizia sviluppata in Italia all’inizio degli anni Sessanta, significativa si rivela l’esperienza maturata da Federico Gorio nell’ambito del Centro Studi Gescal (il nuovo Ente per l’edilizia economica e popolare che aveva sostituito l’Ina Casa) che lui stesso diresse dal 1963 al 1965. In questa sede svilupperà, insieme ad altri colleghi, problematiche legate all’unificazione degli elementi di fabbrica e degli impianti, alla produzione industrializzata di alcune componenti edilizie, attraverso uno studio teorico portato avanti con l’obiettivo di adeguare la qualità alla quantità.
Dal 1975 viene nominato direttore del corso di specializzazione sulle Aree Metropolitane, svolgendo un’intensa attività accademica e indirizzando sotto il suo insegnamento generazioni di ingegneri e urbanisti che hanno saputo cogliere il significato delle sue riflessioni teoriche sulla città, sull’urbanistica e sulla società civile intera, sul ruolo e sull’importanza della formazione della disciplina urbanistica. Per inquadrare meglio la poliedrica attività di ricerca, didattica e professionale, significativa è la premessa scritta di suo pugno nel 1968 per la partecipazione al Concorso a cattedra di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli: “l’istanza della ricerca è dovunque ed ogni momento presente. Nel desiderio di scavare i problemi nell’interno, qualunque sia il tipo di impegno dalla professione alla scuola, qualunque il momento intellettuale e psicologico, dall’analisi alla sintesi, dall’induzione alla deduzione, dall’intuizione alla logica, dalla critica alla invenzione e di nuovo alla critica senza soste, l’instancabile ricerca di metodo assume valore di impegno morale, è il segno di una costante partecipazione. In questo senso ogni ramo di attività, ogni singolo problema teorico ed empirico assume una configurazione poliedrica nella quale sono presenti i più diversi interessi e in cui è soprattutto presente l’attenzione ai nessi e alle implicazioni che fanno delle singole esperienze un’unità complessa, coerente e viva”.
I suoi prevalenti temi di impegno si possono individuare tra i seguenti campi:
indagini sociali: dall’inchiesta sui Sassi di Matera, alla ricerca delle esigenze del consumo per la determinazione degli standard edilizi e urbanistici presso il Centro Studi Gescal;
indagini territoriali: “nella scuola come nella professione, gli studi condotti sul territorio hanno alla base l’interesse per il divenire dei fatti, più che per i fatti in sé, perché nella storia e nel mutamento sta la loro vera essenza”;
pianificazione a tutti i livelli: lo studio preliminare al piano dell’Abruzzo, il piano di Avezzano, gli innumerevoli studi di piano ad ogni livello condotti con gli studenti, i piani particolareggiati dei borghi rurali e turistici da La Martella al villaggio Crotonei: “la composizione urbanistica dei quartieri, ogni esperienza ha un senso purché contenga una ricerca sul vivo degli insediamenti, purché sia motivo di scoperta”;
architettura come espressione di civiltà: la dedizione ad ogni tema architettonico affrontato, il laboriosissimo lavoro di critica interna, la ricerca di una semplicità essenziale e di una coerenza di fondo danno, a ogni lavoro edilizio, il significato di un tentativo di comunicazione, al di là delle formule, nel continuo perseguimento di un’espressione di civiltà;
contatti tra architettura e le materie affini dovunque è possibile, la ricerca del colloquio con le scienze e le discipline complementari, con il lavoro di gruppo, con la discussione seminariale, con la progettazione integrata, mantiene sempre vivo e presente il problema delle esperienze e delle informazioni interdisciplinari. Questo atteggiamento è soprattutto evidente nell’impegno con il quale Gorio verifica costantemente i temi architettonici.
Autore di numerose pubblicazioni, nelle quali si riscontra una continua attenzione ai rapporti tra architettura, urbanistica e scienze sociali, è stato direttore della rivista «Rassegna di Architettura e Urbanistica» sin dall’anno 1977. Nel febbraio 2002 per le sue qualità culturali e progettuali e per mettere in risalto l’attualità della sua lezione e della sua produzione scientifica gli è stata conferita dal Rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, Alessandro Bianchi, la laurea ad honorem in Architettura.
Nel gennaio 2006 è stata allestita, presso l’Accademia Nazionale di San Luca, a cura del Dipartimento di Architettura e Urbanistica della Facoltà di Ingegneria, una mostra sul suo percorso progettuale dalla triplice valenza urbanistica, architettonica e tecnica, caratterizzato dalla continua ricerca tra tradizione e innovazione, tra intuito e ragionamento, tra universale e particolare, tra complessità e linearità.
Così lo ha ricordato in quel contesto Marcello Rebecchini : “Gorio architetto nato, con occhio vigile ed attento alla piccola e alla grande dimensione, alle proprietà dei materiali, al disegno del particolare ha avuto, ai miei occhi, una grande coerenza. Una coerenza, proprio dal punto di vista etico che traspare in tutta la sua vita anch’essa intellettuale. Gorio ha percepito sempre l’architettura in un solo modo: un modo molto preciso che corrisponde ai presupposti del movimento moderno. Ha sempre pensato ad un’architettura fondata sui contenuti, in cui etica ed estetica si confondevano. Un’architettura intesa come strumento per migliorare la vita della gente. Questo è sempre stato il motivo dominante di tutti i suoi lavori, di tutte le sue architetture”.
Fiorenza Gorio
Roma, 27 marzo 2018